Siamo quello che scriviamo (altro che Chat GPT!)

Tutto ciò che scriviamo è mediato dalla nostra esperienza, dal nostro vissuto, dai nostri ricordi. In ogni scritto raccontiamo il nostro modo di elaborare soggettivamente il mondo. Scrivere un libro Martina Bortolotti

Siamo quello che scriviamo. Che significa? Che ogni volta che scriviamo un testo – sia esso un racconto, un romanzo, una poesia, un punto di vista, una canzone, un articolo di giornale – al suo interno ci sarà certamente qualcosa di noi, qualcosa che ci racconta. Non sto parlando di un’autobiografia, con l’esplicito intento di narrare di noi, delle nostre vicende e i nostri stati d’animo. Sto parlando di qualsiasi forma di scrittura. Quando scriviamo un testo, non necessariamente scegliamo di inserire al suo interno il nostro bagaglio personale. Al contrario, molti scelgono di non fornire alcun dettaglio della propria vita privata e della propria personalità. Ma nonostante questo, quel testo, tra le righe, racconterà qualcosa di noi. Ed è qualcosa che sfugge al nostro controllo.

Provo a spiegarmi meglio. Cosa vuol dire che siamo quello che scriviamo? Prova a pensare ad un pittore, per esempio. Non necessariamente decide di fare un autoritratto o di inserire elementi di vita personale nel proprio dipinto. Eppure, il suo quadro ci dice tanto di lui, del suo stile, delle sue influenze artistiche, ma anche del suo animo e della sua personalità. Mi viene in mente su tutti Van Gogh e i suoi paesaggi sempre molto inquieti che rivelano molto della sua indole irrequieta e cupa. Ecco, allo stesso modo in un testo ci sono molte delle nostre caratteristiche personali: la timidezza, la riservatezza, l’estroversione, il piacere di condividere le emozioni, l’ironia o, al contrario, la serietà. È inevitabile. Tutto ciò che scriviamo è mediato dalla nostra esperienza, dal nostro vissuto, dai nostri ricordi. In ogni scritto raccontiamo il nostro modo di elaborare soggettivamente il mondo.

Mi viene in mente il mio libro. Una storia per bambini, Non smettere di sognare”, che ho scritto e pubblicato tanti anni fa, quando avevo 21 anni. Inserii al suo interno un aneddoto narrativo – ti sto parlando di pochissime righe – che a me pareva assolutamente privo di significato. Ma un occhio attento (e particolarmente sensibile) che lo lesse (e che mi conosceva appena) intuì che in quelle righe ci fosse qualcosa di me e me lo fece notare. Rimasi sbigottita. Avevo descritto una scena di vita familiare che a me pareva del tutto “irrilevante”. Ma in quello scenario c’era la mia elaborazione soggettiva del modello familiare. Avevo voluto inserire un aneddoto personale? Assolutamente no. Avevo voluto lasciare un segnale implicito? Nemmeno. Eppure io ero lì. In quelle poche righe c’era, incontrovertibilmente, Martina. E la sua storia.

Il passaggio era questo:

“Iniziò a girare per le stanze della casa sperando di trovare il cucciolo. Ma, stanza dopo stanza, del cane non c’era traccia. (…) Si fece prendere dal panico, non sapeva cosa fare! Per un attimo pensò di chiamare il marito che era a lavoro, poi si rese conto che avrebbe solo perso tempo e che, oltretutto, lui non avrebbe potuto fare molto di più di quello che lei avrebbe fatto da sola.”

Non starò ora ad analizzarlo e a spiegarti quanto racconti di me. Ma sappi che quando mi è stato fatto notare ho ritrovato in questo passaggio moltissimo materiale umano e personale: delle mie abitudini, dei miei desideri, della mia forza e della mia debolezza. Poche righe, apparentemente insignificanti, eppure rivelavano tantissimo di chi le aveva scritte.

Per questo oltre che scrittori, possiamo diventare dei lettori critici. Dei fruitori che non guardano passivamente un’opera d’arte, ma che la scrutano, la analizzano, la comprendono intimamente. Perdonami se la butto sul filosofico, ma credo che l’essenza del discorso sia tutta qui. Per quanto tu voglia evitarlo, all’interno dei tuoi testi ci sarà sempre, inevitabilmente, qualcosa di te. E secondo me è una bellezza, è una ricchezza, una rarità. È ciò che rende il tuo testo unico, che lo differenzia da un anonimo susseguirsi di righe che potrebbe esser prodotto da una qualsiasi intelligenza artificiale. Nel tuo testo c’è la tua anima. E non c’è macchina che possa appropriarsi delle emozioni umane.